Nella sollecitudine per la conversione del peccatore la Chiesa sviluppò diversi processi penitenziali. Già la comunità primitiva conobbe la prassi della scomunica del peccatore, per un tempo determinato, dalla comunione del popolo di Dio, per spingerlo alla conversione (cfr. 1 Cor 5,1-13). Per il perdono delle colpe quotidiane si ritenevano sufficienti la preghiera, il digiuno, l’elemosina e altre opere buone. Nell’epoca seguente solamente i cosiddetti peccati capitali, ai quali appartenevano innanzitutto l’apostasia, l’omicidio e l’adulterio, furono sottoposti a un pubblico procedimento penitenziale. A partire dal sec. VI, sotto l’influsso dei monaci itineranti iroscozzesi, si confessava la propria colpa a un sacerdote e se ne riceveva l’assoluzione. L’opera penitenziale, che originariamente doveva precedere l’assoluzione, poté ben presto essere compiuta dopo. Già nel sec. IX viene richiesto di confessarsi una o anche tre volte l’anno.